Studio Legale Vasselai

Pubblicazioni


LUGLIO 2019 - SUCCESSIONE EREDITARIA - IL CERTIFICATO EREDITARIO

In Provincia di Trento, così come in Provincia di Bolzano, Trieste e Gorizia, ed in alcuni Comuni delle Provincie di Udine, Belluno, Brescia e Vicenza, vige il sistema di pubblicità immobiliare tavolare/fondiario di origine austroungarica. Tale sistema impone, a chiunque erediti un bene immobile situato in uno dei territori su indicati, di richiedere al Giudice di competenza l’emissione del certificato ereditario (Artt. 3 e 13 e ss. R.D. 499/1929).Il certificato ereditario, o certificato d’eredità, si deve chiedere al Tribunale in composizione monocratica del luogo in cui sono situati i beni immobili considerati ovvero, se la successione si sia aperta fuori dai territori di cui sopra, al Tribunale in composizione monocratica del luogo ove si trovi la maggior parte dei beni immobili del defunto esistenti nei territori medesimi, e si sostanzia in un provvedimento nel quale viene certificata la condizione di erede degli aventi diritto, con la precisazione della quota di spettanza in capo a ciascuno. Viene richiesto dagli interessati con ricorso con sottoscrizione autenticata (art. 13 R.D. 499/1929) e costituisce il presupposto fondamentale per procedere alla successiva intavolazione del diritto di proprietà sui beni immobili caduti in successione.La richiesta del certificato ereditario, non abbisogna necessariamente del patrocinio di un Notaio, potendo essere presentata anche dal proprio legale di fiducia, legittimato all’autenticazione della sottoscrizione come richiesto dall’art. 13 R.D. 499/29.                                                                                                    Luglio 2019                                                                                                                                                                                                                                                                          Avv. Katia Vasselai


LUGLIO 2019 - DIRITTI REALI - L'USUCAPIONE DI TERRENI SITUATI IN COMUNI CLASSIFICATI MONTANI

Per i terreni con annessi fabbricati situati in comuni classificati montani, Il legislatore ha previsto la possibilità di acquistarne la proprietà per usucapione in virtù del possesso continuato per quindici anni (Art. 1159bis c.c.).La legge, pertanto, agevola l’usucapione di tale tipologia di fondi riducendo a quindici anni l’arco temporale del possesso necessario per poter ottenere poi una pronuncia di riconoscimento della proprietà. Vi è da dire inoltre che, per prassi giurisprudenziale, la medesima norma trovi applicazione anche in presenza di terreni privi di annesso fabbricato. Ciò detto, la procedura da seguire è quella prevista dalla legge n. 346 del 1976. Tale norma, innanzitutto, prevede che il riconoscimento della proprietà debba essere richiesto con ricorso al Tribunale del luogo in cui è situato il fondo di interesse. In secondo luogo, viene imposta la pubblicazione dell’istanza all’Albo del Comune in cui è situato il terreno ed all’Albo del Tribunale di competenza, oltre alla notifica ad alcuni soggetti tra cui coloro che figurano, nei registri immobiliari, titolari di diritti reali sul fondo considerato. Infine è richiesta la pubblicazione nel Foglio degli annunci legali della Provincia. Il legislatore non prescrive invece il necessario coinvolgimento diretto degli eredi ancora in vita dei titolari risultanti dai registri immobiliari, liberando così l’istante da gravose e costose ricerche negli archivi dei Comuni, o addirittura della Chiesa, a volte dall’esito infruttuoso. Eventuali eredi interessati potranno prendere contezza del procedimento in corso per il tramite delle pubblicazioni di cui sopra ed agire di conseguenza, fermo restando che la sola condizione di erede non potrà portare al rigetto dell’istanza azionata. Si precisa, infine, che la procedura in questione necessita obbligatoriamente dell’assistenza di un legale.                                                       Luglio 2019                                                                                                                                                                                                                                                                          Avv. Katia Vasselai


SETTEMBRE 2019 - DIRITTI DEI CONSUMATORI - CONTROVERSIE CON COMPAGNIE TELEFONICHE

Le diatribe tra utenti e compagnie telefoniche sono all’ordine del giorno ed essendo regolamentate in modo specifico e minuzioso dalla legge, necessitano della massima attenzione e professionalità per poter giungere velocemente e correttamente al termine. Innanzitutto, vi è da dire che l’utente non può rivolgersi immediatamente all’Autorità Giudiziaria nell’intento di ottenere giustizia. L’art. 1 comma 11 della legge n. 249/1997, infatti, impone agli utenti delle compagnie telefoniche un tentativo obbligatorio di conciliazione da esperirsi presso il Co.Re.Com. (Comitato Regionale per le Comunicazioni) territorialmente competente, ovvero presso gli altri organismi previsti dall’art. 13 del Regolamento in materia di procedure di risoluzione delle controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti approvato con delibera n. 173/07/CONS e s.m.Solo all’esito negativo di tale tentativo sarà possibile, per l’utente, adire l’Autorità Giudiziaria.Detto ciò, di fronte ad un qualsiasi disservizio riscontrato in capo al proprio operatore telefonico, l’utente dovrà innanzitutto inoltrare un formale reclamo all’operatore. Si consiglia l’inoltro di un reclamo scritto anche se nulla vieta che lo stesso venga inoltrato telefonicamente. In quest’ultimo caso è buona norma segnarsi il nome dell’operatore telefonico che ha ricevuto il reclamo ed il numero della pratica assegnata al reclamo stesso.Se tale attività non porta ad alcun risultato utile, l’utente dovrà attivare il tentativo di conciliazione presso il Co.Re.Com. (istituito presso ogni Regione e presso le Provincie di Trento e Bolzano) ovvero presso gli organismi succitati.L’attività avanti al Co.Re.Com. si svolge necessariamente secondo le forme ed i termini ben esplicitati nel Regolamento di cui alla delibera n. 203/18/CONS. Il mancato rispetto delle norme procedurali citate, può portare alla declaratoria di improcedibilità e/o inammissibilità dell’istanza.Qualora il tentativo di conciliazione termini con un accordo, dello stesso verrà redatto verbale di conciliazione che dovrà essere sottoscritto dalle parti e dal responsabile della procedura designato dal Co.Re.Com. Tale verbale costituisce titolo esecutivo. Se il tentativo di conciliazione fallisce, il responsabile del procedimento redige un sintetico verbale in cui si annota l’oggetto della controversia e l’esito negativo della tentata conciliazione. L’utente ora sarà libero di rivolgersi all’Autorità Giudiziaria.                    Settembre 2019                                                                                                                                                                                                                                                                  Avv. Katia Vasselai 
                                                                                                                                                                                                                                                                            


MARZO 2020 - PROCEDURA CIVILE - LA LIQUIDAZIONE DEGLI ONORARI DEL CONSULENTE TECNICO D'UFFICIO (CTU)

Il Consulente Tecnico di Ufficio (CTU) è il tecnico nominato dall’Autorità Giudiziaria a proprio ausilio, per svolgere accertamenti tecnici che esulano dalle competenze dei giudici, ed indispensabili ai fini della miglior decisione di causa. Si pensi alla necessità di procedere alla valutazione ed alla successiva suddivisione in lotti di un asse ereditario, in una causa di divisione ereditaria, alla quantificazione del danno subito da un soggetto coinvolto in un sinistro stradale, in una causa avente ad oggetto la richiesta del correlativo risarcimento, ai danni occorsi a causa dell’opera errata/negligente di una impresa di costruzioni, in una causa risarcitoria avviata dal committente proprietario, agli accertamenti necessari per comprendere se vi sia o meno la capacità genitoriale in capo ad un soggetto, in una causa avente ad oggetto l’affidamento di minore, e così via. A fronte dell’importante compito assegnato al tecnico d’ufficio la legge prevede, in favore di quest’ultimo, un compenso che il Giudice della causa deve quantificare secondo le tabelle allegate al Decreto emesso dal Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in data 30.05.2002. Solo qualora le prestazioni non rientrino nelle tabelle di cui sopra, il Giudice dovrà stabilire l’onorario del CTU commisurandolo al tempo impiegato e determinandolo in base alle vacazioni ex art. 4 della Legge 319/1980. Ogni vacazione è composta da due ore di lavoro, ed alla prima vacazione viene riconosciuto l’onorario di € 14,68, mentre per quelle a seguire l’onorario di € 8,15. L’onorario per la vacazione può essere raddoppiato quando, per il compimento delle operazioni, sia fissato un termine non superiore a 5 giorni e può essere aumentato fino alla metà, quando è fissato un termine non superiore a quindici giorni. L’onorario per la vacazione non si divide che per metà; trascorsa un’ora e un quarto, è dovuto interamente. Il Giudice non può liquidare più di quattro vacazioni al giorno per ciascun incarico, salvo che quest’ultimo si svolga alla presenza dell’Autorità Giudiziaria. In tal caso il numero delle vacazioni dovranno risultare dagli atti e dal verbale di udienza. La legge prevede che il Giudice debba calcolare, sotto la sua personale responsabilità, il numero delle vacazioni con rigoroso riferimento al numero delle ore che siano strettamente necessarie per l’espletamento dell’incarico, indipendentemente dal termine assegnato per il deposito della relazione. La liquidazione avviene con decreto emesso in corso di causa, contro cui è possibile proporre opposizione ai sensi dell’art. 170 del DPR 30.05.2002 n. 115 e dell’art. 15 del decreto legislativo 01.09.2011 n. 150, ossia nei termini e con le modalità del rito sommario di cognizione, e l’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.                                                                                                                                                                                                         Marzo 2020                                                                                                                                                                                                                                                                   Avv. Katia Vasselai


MARZO 2020 - TUTELA DELLE PERSONE - L'AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO

Come noto, il nostro Ordinamento Giuridico contempla degli istituti a sostegno delle persone prive, in tutto o in parte, di autonomia. Inizialmente, erano previsti i soli istituti della interdizione e della inabilitazione, a cui si è aggiunto quello dell’amministrazione di sostegno introdotto con la legge n. 6 del 2004. Quest’ultimo istituto, consente al Giudice Tutelare di regolamentare in modo specifico e minuzioso ogni ambito della tutela necessaria al beneficiario e si presta, alla luce anche dell’ormai ampia casistica a disposizione, a regolare praticamente tutte le situazioni in cui vi sia una persona bisognosa di supporto nella conduzione della propria vita quotidiana. Gli istituti dell’inabilitazione e dell’interdizione, pur essendo ancora in vigore, in seguito all’entrata in vigore dell’amministrazione di sostegno, sono stati chiaramente relegati ai margini dal legislatore e da più parti se ne auspica addirittura la abrogazione. Sul punto la Cassazione ha d’altronde già avuto modo di stabilire che “rispetto all'interdizione e all'inabilitazione, l'ambito di applicazione dell'amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado d'infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa, ben potendo il giudice tutelare graduare i limiti alla sfera negoziale del beneficiario dell'amministrazione di sostegno, a mente dell'art. 405 comma 5 n. 3 e 4 c.c., in modo da evitare che questi possa essere esposto al rischio di compiere un'attività negoziale per sé pregiudizievole(Cass. Civ. Sez I dd. 22.04.2009 n. 9628). La nomina dell’amministratore di sostegno avviene secondo le modalità ed i termini previsti dagli artt. 404 c.c. e seguenti. Il Giudice competente, è il Giudice Tutelare del luogo ove la persona bisognosa ha la propria residenza o il domicilio, ed il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno deve essere annotato a margine dell’atto di nascita del beneficiario (art. 405 c.c.). Quest’ultimo, conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedano la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno e può compiere, in ogni caso, gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana (Art. 409 c.c.). Gli atti compiuti dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge e/o del decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, possono essere annullati (Art. 412 c.c.). Infine l’amministrazione di sostegno può essere sempre revocata dal Giudice Tutelare qualora si siano determinati i presupposti per la relativa cessazione (art. 413 c.c.).                                                                                                                                                             MARZO 2020                                                                                                                                                                                                                                                               Avv. Katia Vasselai


MARZO 2020 - DANNI DA SINISTRO STRADALE – DANNO BIOLOGICO PER LESIONI DI LIEVE ENTITA’ (Postumi pari o inferiori al 9%)

La quantificazione del danno biologico di lieve entità subito a seguito di sinistro stradale, avviene in base a quanto disposto dall’art. 139 del Codice delle Assicurazioni. Il Legislatore ha cercato di contemperare due contrapposti interessi, ossia, quello del soggetto danneggiato a vedersi rifondere tutti i danni subiti in un incidente stradale, e quello della collettività di poter godere di prezzi accessibili per le polizze assicurative R.c.a. Chiaro, infatti, che il moltiplicarsi di risarcimenti molto onerosi per le assicurazioni, porterebbe ad un inevitabile aumento di tutte le polizze del campo ed al conseguente insostenibile, ancorché obbligatorio, costo per molti utenti della strada. A fronte di ciò, il danno viene quantificato in base alla tabella risarcitoria emessa con Decreto del Presidente della Repubblica, di anno in anno aggiornata con Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico. Tale tabella tiene conto dei contrapposti interessi di cui sopra e, dunque, espone importi un po’ più bassi rispetto a quelli risultanti dalle tabelle prese a riferimento per la quantificazione dei danni subiti da un soggetto in altri ambiti della vita quotidiana, ed esulanti dunque dalla circolazione stradale. Vi è da dire che la Giurisprudenza, negli anni, ha parzialmente cercato di ovviare a questa decurtazione risarcitoria ex lege riconoscendo, in favore del danneggiato da sinistro stradale, il danno morale/esistenziale in aggiunta a quello biologico. A fronte di tale diffuso orientamento giurisprudenziale, il Legislatore è però intervenuto allo scopo di evitare un aumento esponenziale dei risarcimenti, a scapito dell’equilibrio dei due contrapposti interessi di cui sopra. Con la novella di cui alla legge 124/2017, il Legislatore ha difatti innovato il comma 3 dell’art. 139 Codice delle Assicurazioni, stabilendo che l’aumento per il danno morale/esistenziale non possa mai superare il 20% del danno biologico tabellare e debba comunque essere rigorosamente provato da chi lo richieda ed altrettanto rigorosamente motivato da chi lo riconosca.                                                                                                                                                                            MARZO 2020                                                                                                                                                                                                                                                                Avv. Katia Vasselai


APRILE 2020 - DIRITTO EREDITARIO - L’ATTRIBUZIONE DELL’INDENNITA’ EX ART. 2118 TERZO COMMA C.C. E DEL T.F.R. IN CASO DI MORTE DEL LAVORATORE 

L’indennità ex art. 2118 terzo comma c.c. ed il T.F.R. ex art. 2120 c.c., in caso di morte del lavoratore, spettano al coniuge ed ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo (Art. 2122.c.c. primo comma).                                                                                  La Giurisprudenza consolidata, riconosce la spettanza delle dette provvigioni iure proprio e non iure successionis (Cass. n. 3764/1982; Cass n. 3515/1981; Cass. S.U. n. 5/1980).  Ciò significa che, i soggetti di cui sopra, avranno diritto a percepire l’indennità ex art. 2118 terzo comma c.c. ed il TFR, indipendentemente dalle questioni ereditarie che riguardino il lavoratore defunto, ed anche in ipotesi di rinuncia all’eredità del medesimo.                          Trattasi difatti di emolumenti la cui natura è essenzialmente previdenziale, in quanto volti ad attenuare lo stato di bisogno in cui potrebbero trovarsi i familiari a seguito della morte del lavoratore, ed alla conseguente perdita del reddito di quest’ultimo. Proprio per tale motivo, ex art. 2122 secondo comma c.c., la ripartizione tra gli aventi diritto, qualora non vi sia accordo, dovrà avvenire secondo il bisogno di ciascuno.                                                                        Solo in assenza dei soggetti di cui al primo comma dell’art. 2122 c.c., le indennità di cui trattasi verranno attribuite secondo le norme della successione legittima o testamentaria (Art. 2122 terzo comma c.c. - Corte cost. sentenza 19 gennaio 1972 n. 8).                                                                                                APRILE 2020                                                                                                                                                                                                                                                                 Avv. KatiaVasselai


LUGLIO 2020 - PANDEMIA ED OBBLIGAZIONI CONTRATTUALI. MEDIAZIONE OBBLIGATORIA

Sappiamo bene che una delle conseguenze della pandemia da Covid-19 è stata la totale chiusura delle attività economiche non essenziali. Da ciò l’interruzione, per la maggior parte degli operatori economici, dei flussi di denaro in entrata e la conseguente difficoltà, o addirittura impossibilità, di provvedere al pagamento delle obbligazioni contrattuali precedentemente assunte. Si pensi, per fare un esempio su tutti, ai canoni di affitto dei locali commerciali.
Quali sono le conseguenze da un punto di vista giuridico e come deve comportarsi il debitore per evitare eventuali azioni esecutive? Come può, dal canto suo, il creditore tutelare le proprie ragioni?
La questione è tutt’altro che di facile risoluzione.
Vi è da dire innanzitutto che il Governo, nel suo corposo e spesso confuso intervento emergenziale, ha cercato di normare la situazione tramite l’art. 91 del Decreto “Cura Italia” (D.L. n. 18/2020 - convertito con modificazioni con la Legge n. 27/2020) il quale ha inserito il comma 6-bis all’art. 3 del D.L. 6/2020 convertito con modificazioni con la Legge 13/2020. Tale norma dispone: “ Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
La stessa deve certamente essere interpretata alla luce della normativa già in vigore e nello specifico degli articoli 1218 (responsabilità del debitore) – 1223 (risarcimento del danno) – 1256 (impossibilità sopravvenuta definitiva o temporanea per causa non imputabile al debitore) – 1463 (impossibilità sopravvenuta totale) – 1464 (impossibilità sopravvenuta parziale) e 1467 (eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione di una delle parti) del codice civile, tenuto conto del principio di buona fede di cui all’art. 1175 e della diligenza richiesta al debitore di cui all’art. 1176 codice civile. Il tutto nel rispetto del principio fondamentale della solidarietà sancito dall’art. 2 della Costituzione.
Ciò detto, non è possibile allo stato sapere come i Giudici interpreteranno ed applicheranno le norme di cui sopra, in ipotesi di vertenze “da Covid-19” (ad oggi ci sono solo poche pronunce su procedimenti di urgenza che però attendono l’esito nel merito).
Certo è che l’art. 3 comma 6-ter del D.L. 6/2020 - come convertito dalla Legge 17/2020 ed integrato dal D.L. 28/2020 convertito con modificazione con la legge 25 giugno 2020 n. 70 - dal 30 giugno 2020, impone alle parti il procedimento di mediazione da esperirsi prima dell'avvio di qualsiasi vertenza. Lo stesso infatti dispone: “Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l'emergenza epidemiologica da COVID-19 sulla base di disposizioni successive, puo' essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di procedibilità della domanda”.
Ciò significa, che le parti saranno obbligate a tentate la conciliazione prima di adire il giudice di competenza.
Il tutto, d’altronde, in conformità ai principi di buona fede, diligenza e solidarietà di cui agli articoli 1175, 1176 codice civile ed art. 2 della Costituzione di cui si è già fatto cenno.                                                                                                                                                                                                                                               
Luglio 2020
Avv. Katia Vasselai